Roberta, è un piacere conoscerti e ospitarti sulla pagina di Inside Music.
“Senza far rumore” è dedicato allo storico fondatore e leader dei Matia Bazar, Giancarlo Golzi, a dieci anni dalla sua scomparsa.
Che emozioni ha suscitato in te scrivere e interpretare questa canzone?
Ho iniziato a pensare di scrivere per un una sorta di emozione che provavo da tanto tempo nei confronti del ricordo di Giancarlo, già cinque anni fa.
È stata una gestazione molto lenta perché ho ponderato ogni singola parola, per provare a tirare fuori tutta la riconoscenza, l’affetto e la stima che provo per uno dei miei pigmalioni.
Sono entrata nei Matia nel 2004, fortemente voluta da Giancarlo, per attuare una rivoluzione vocale e musicale che intendevano fare in quel periodo, e so che aveva grande stima di me.
Purtroppo la sua prematura scomparsa non mi ha permesso di rivederlo dopo la conclusione di quell’esperienza e, per rispetto, non ho neanche partecipato al funerale; quindi, questa canzone rappresenta il mio modo di mandargli un abbraccio fino al cielo.
Giancarlo, che era una persona straordinaria e pragmatica, mi ha dato tantissimi consigli e questa vuole essere una preghiera di ringraziamento che viene dal profondo del mio cuore; traslo questo ringraziamento anche a tutti i colleghi dei Matia, di cui serbo un ricordo di grande professionalità e che mi hanno insegnato tanto.
“Se mancava la luce, avevo i tuoi occhi, meglio di mille parole…” . Cosa ha rappresentato per te, per la tua carriera il “Capitano” Giancarlo Golzi?
“Capitano” è il soprannome che gli davamo tutti, perché era sia il fondatore che il membro più anziano dei Matia. Il capitano di una nave, quella dei Matia, che governava con grande responsabilità, serietà ed equilibrio.
Per me ha rappresentato una grande occasione: io venivo da anni di musical però agognavo il palco di Sanremo e la discografia, e lui mi ha dato l’occasione di fare tre dischi con i Matia, quindi la popolarità e la possibilità di girare il mondo con i tour; soprattutto, mi ricordo gli insegnamenti che mi ha lasciato e anche i consigli pratici per muovermi nel mondo dello spettacolo. Devo dire che queste sono le cose di lui che serbo di più nel cuore.
“Senza far rumore” è anche un tuo stile di vita…
Sono una persona molto socievole ma, allo stesso tempo, ho una sorta di pudore e di non presenzialismo a tutti i costi, perché se non credo in una cosa fino in fondo non devo per forza stare al centro dell’attenzione. Ho preferito aspettare di avere qualcosa in cui credere.
Mi rifaccio a ciò che mi chiedevi prima su quella frase: Giancarlo sul palco parlava con gli occhi, non era una persona di tante parole, ma per me era un faro che, con lo sguardo, diceva più di mille parole.
Pur avendola composta più di cinque anni fa, hai atteso il momento di essere pronta per pubblicarla. Cosa ti tratteneva?
Come dicevo, è stata una gestazione lunga: prima ho scritto la musica e poi il testo, perché volevo che fosse davvero delicato e che rendesse giustizia alla figura di Giancarlo e esprimesse almeno una parte del bene che ho voluto a tutti loro e a tutta quella esperienza.
Spesso le parole si buttano un po’ a caso, io invece faccio parte di quella generazione per la quale i testi erano molto importanti, dove ogni parola doveva avere un significato credibile per chi la canta, ma doveva essere anche interessante e profondo per chi lo ascolta.
La tua esperienza all’interno dei Matia Bazar è durata sei anni. Cosa ricordi con maggiore nostalgia o, anche, con allegria di quel periodo?
I ricordi migliori sono quelli dei post concerto, che è la parte più divertente del nostro mestiere.
Eravamo una famiglia, perciò, alla fine dell’esibizione si andava a mangiare e ci facevamo gli scherzi, ridevamo fino alle lacrime, facevamo le imitazioni; anche in questo Giancarlo era molto bravo e poi avevamo un linguaggio segreto tra noi Matia per non farci capire dagli altri; erano momenti molto divertenti.
Dal punto di vista professionale voglio ricordare Sanremo con “Grido d’amore”, che mi ha portato tanta fortuna e che ancora oggi sento cantare nei concorsi: è stata una grande emozione calcare un palco così importante nei Big e poi, chiaramente, il giorno del mio provino, che fu molto lungo, ma che terminò con un una bottiglia di champagne per dirmi ero la nuova cantante dei Matia.
Sono stati momenti bellissimi della vita, ma adesso sono proiettata verso nuove cose e spero di continuare coinvolgendo tante discipline diverse, perché mi piace sperimentare, mi piace scrivere anche per altri e spero di poterlo fare ancora per tanti colleghi, oltre che per me stessa.
La tua carriera è proseguita con tre album da solista, l’insegnamento al conservatorio e il vocal coaching. Da cosa trai linfa oggi?
Dopo i tre album da solista, ho fatto sette anni di teatro musical con Zero con 550 date in cinque anni di “Romeo e Giulietta: ama e cambia il mondo” e “Zerovskij – Solo per amore” al fianco di Renato Zero.
Nel frattempo ho continuato a fare i miei live nelle piazze. A partire dalla fine di maggio porterò in giro il mio spettacolo con la band live e tutte le piazze italiane e, soprattutto, continuo con la missione della “La Fabbrica del Cantante-Attore”, l’Accademia didattica che ho creato nelle Marche, dove insegno non solo canto, ma anche le modalità di gestione di un artista che vuole emergere, come cercare di avere qualche cosa di professionale da presentare in un difficile mondo come quello dello spettacolo.
Ho insegnato in Conservatorio a Frosinone, però, adesso, mi occupo della mia Accademia che è un lavoro impegnativo, ma molto soddisfacente.
Per esempio, ho vinto anche la prima edizione di The Voice Kids con una mia allieva, che ho preparato con la mia metodologia di canto e di questo sono molto orgogliosa.
A tuo parere, dato che hai a che fare con tanti ragazzi ancora in formazione, cosa manca alla musica attuale che invece avevano i Matia Bazar?
È un discorso lungo e articolo, ma ti posso dire solo una cosa su quello che, secondo me, manca quando ascolto oggi un pezzo in radio, oppure in streaming: c’è una difficoltà a identificare un genere ben preciso, degli arrangiamenti, il mondo musicale di un artista, piuttosto che di un altro, perciò, sono pezzi interscambiabili.
Noi, invece, avevamo il culto di creare un’unicità.
Mi piacerebbe che si tornasse a una identificazione migliore, il proprio, nella costruzione dei pezzi, nell’arrangiamento e anche nell’uso vocale.